Doping batteriologico, il futuro è nel trapianto fecale?
Sembra fantascienza, ma stanno arrivando alcune ricerche in merito che ne danno invece conferma. Tutto nasce dall’esperienza di Lauren Petersen, ricercatrice in microbiologia e ciclista dilettante. Affetta dalla malattia di Lyme sin dalla sua gioventù, questa intrapredente 34enne del Jackson Laboratory di Farmington, in Connecticut, ha notato che il suo microbiota intestinale era squilibrato e ha voluto provare un trapianto fecale. Una procedura nella quale nessun medico l’ha accompagnata, ma che ha avuto dei riscontri sorprendenti.
Non solo il suo sistema immunitario ne ha tratto benefici grazie al miglioramento dell’assorbimento del cibo, ma anche le prestazioni sportive sono migliorate. Precedentemente al trapianto, riusciva infatti ad allenarsi due volte a settimana, ma qualche mese dopo riusciva ad arrivare a cinque sessioni settimanali. Il fatto che il donatore fosse un ciclista di buon livello da subito non è sembrato un caso e, da buona ricercatrice, la Pedersen si è messa ad indagare ulteriormente.
“Mi chiedevo se sarei stata così bene se avessi preso il mio microbioma da un pantofolaio invece che da un corridore – commenta Petersen a Bicycling – A quel punto mi sono chiesta quale sarebbe potuto essere il miglior microbioma possibile per un atleta”. Sono dunque così iniziati gli studi più approfonditi, raccogliendo campioni di amatori e professionisti, fino all’individuazione della Prevotella, un microorganismo molto comune negli atleti di alto livello.
“Più una persona si allena, più è probabile abbia Prevotella. Nei miei campioni, solo metà dei ciclisti hanno la Prevotella, ma tutti i migliori ce l’hanno e non è neanche nel 10% dei non atleti”. Il passaggio successivo, nel quale è attualmente impegnata, è dunque riuscire ad estrarre e studiare meglio la Prevotella, che attualmente si sa essere coinvolta nel recupero muscolare, per capire come possa aumentare nel corpo in maniera naturale, ipotizzando anche la possibilità di utilizzare un trattamento da somministrare.
Inoltre, la Petersen ha individuato un archeobatterio chiamato Methanobrevibacter smithii (o M. smithii) che ritiene abbia a sua volta un ruolo importante vista la presenza molto più massiccia nei ciclisti non amatoriali. Trattandosi di un microorganismo che elimina l’ossigeno e il diossido di carbonio prodotto dalle scorie degli altri batteri, evitando che gli altri batteri possano essere rallentati nel loro processo, sostanzialmente infatti permette al corpo una miglior produttività ed efficienza nel trasformare il cibo in energia, aspetto essenziale per qualsiasi atleta.
Al momento si tratta di studi ancora a livello iniziale e bisogna anche capire come i diversi cibi possano avere un impatto sulla Prevotella o su M.smithii, così come le altre centinaia di microbi che sono stati individuati nella flora intestinale dei ciclisti. Un processo che potrebbe prendere ancora anni a svilupparsi, ma il suo obiettivo è creare uno studio che permetta agli atleti di sfruttare queste informazioni a proprio vantaggio.
Alcuni ventilano nuove possibilità di doping, sfruttando quella che in realtà è una ricerca votata prima di tutto alla comprensione di processi probiotici e prebiotici, che possono essere utili agli atleti, a coloro affetti da un problema medico, ma anche alle persone comuni. “Quello che stiamo imparando può cambiare l’approccio dei ciclisti, ma anche del resto della popolazione – conferma – Se ti fai un test e scopri che ti manca qualcosa, forse nell’arco di tre anni potrai averlo con una pillola invece di un trapianto fecale. Abbiamo dei dati che nessuno ha mai visto sinora e stiamo imparando molto. Penso di poter dire che il doping batteriologico – chiamatelo doping fecale, se preferite – sta arrivando“.
Ricordiamo che si tratta di un trattamento medico ancora in fase sperimentale, indisponibile in molti paesi, per cui una procedura ancora rischiosa. “Come ogni trapianto – aggiunge la Pedersen – esiste la possibilità di rigetto da parte del sistema immunitario. Non è qualcosa da prendere alla leggera. Personalmente, ho fatto molte ricerche e ho sicuramente preso un grande rischio”. Ricordando come “non è possibile scegliere il proprio donatore”, la ricercatrice respinge dunque l’ipotesi di ‘farlo in casa’ ricordando che i suoi studi sono rivolti a ben altre intenzioni, con la creazione del “Athlete Microbiome Project”, che si prefigge lo studio e la catalogazione per cercare di migliorare gli effetti a lungo termine dei probiotici.
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